Amarcord – Una vita da tifoso 1

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Ho sempre seguito il Lecce fin da bambino, tanti anni fa.

La mia squadra del cuore. 

Erano gli anni 70, gli anni delle contestazioni giovanili, gli anni del voler cambiare il mondo. 

Il calcio non era a livello dei decenni successivi. Pochi gruppi organizzati e tifo amatoriale fatto di passione e di genuina goliardia. Anni prima mi avevano portato ad una amichevole di lusso contro il Santos di Pelè, ma ero piccolo, facevo fatica a capire tante cose, mai avrei pensato che quello stadio sarebbe diventato la mia seconda casa. 
E’ proprio così, una seconda casa. 
C’è chi il fine settimana lo passa al mare, magari nella casa di mare e chi invece ha quell’appuntamento fisso col proprio stadio, la nostra seconda casa.
Anni dopo quella partita amichevole, il mio esordio al via del mare. E’ il momento in cui dentro ti esplode qualcosa di indefinibile, qualcosa che ti accompagna per sempre ogni volta che vedi quei colori. Chi la chiama passione, chi la chiama fede, chi lo chiama tifo, non lo so come chiamarla, so solo che ti accompagna per sempre.
Tornando al mio esordio, erano gli anni in cui marcivamo in serie C ( l’attuale Lega Pro). Una partita come tante altre. Il Lecce in casa era un rullo compressore, macinava gioco emozioni e goal a raffica. La gente era calorosa e numerosa. Nel settore scelto cominciava a formarsi una sorta di aggregazione che a distanza di qualche anno ha portato poi al primo gruppo organizzato. In quel momento però era tutto improvvisato ma estremamente goliardico. Il divertimento era in ogni caso assicurato dalla presenza di alcuni personaggi che dirigevano i cori che tra una battuta e l’altra allietavano le nostre domeniche. Complicato inizialmente il montaggio sulla balaustra delle trombe di automobili con batteria. Richiedeva gente esperta ma erano il vanto delle tifoserie d’epoca. Più numerose erano e più varietà di suoni c’era. Altra caratteristica erano le “trozzule“, in italiano dette raganelle. Non poteva mancare quello sventolio e quel suono forte e continuo di decine e decine di trozzule di legno. La chicca finale era quella di battere con la mano sui tabelloni di alluminio nei minuti finali della partita, in una sorta di esplosione di suoni rituali di stampo dionisiaco.
Questo lo facevano in tutti i settori dello stadio e molte volte sortiva l’effetto di mettere le ali alla squadra.
Ho iniziato così il mio percorso da tifoso.
[Il Boemo]

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